Umberto Veruda (Trieste 1868 – 1904)
Vecchio dell'Istituto dei poveri
Olio su tela, cm 73 x 63
Personaggio eccentrico, un vero dandy della Trieste di allora, Veruda, rientrato da Monaco, strinse presto amicizia con lo scrittore Italo Svevo, dando vita a un forte sodalizio intellettuale e affettivo. La sua formazione conobbe ulteriori importanti capitoli: da quello parigino, alla scuola di Bouguereau e Robert-Fleury a quello romano, dove ebbe modo di risiedere in via Margutta e frequentare il vicino Caffè Greco, in quegli anni teatro di vivaci incontri tra artisti e poeti, fino all'ultimo capitolo londinese di Blenheim Palace, residenza dei Duchi di Marlborough. “A quando a quando, giunge nella sua Trieste e si riposa; ma di un vigile riposo che è studio, amore dei movimenti della folla, amore del mare, amore del sole”.
A uno dei primi momenti di questo “vigile riposo” triestino è riferibile il dipinto in esame, databile al 1887 circa. Esso risente, evidentemente, di quel realismo tedesco espresso in lingua impressionista da Max Liebermann, a cui il pittore triestino si legò “subito di durevole amicizia, sentendolo in qualche modo congeniale a se stesso”. Il Vecchio dell'Istituto dei poveri di Trieste attende a questa concezione dell'arte, che a Venezia si identificò nel cosiddetto verismo, il cuoi massimo esponente fu Giacomo Favretto, anch'egli fonte vitale di ispirazione per il pittore triestino. Si tratta di un vecchio, stanco e seduto, che trova appoggio alle proprie fatiche e alle proprie sofferenze nel bastone da passeggio. Il volto è arcigno, ma lo sguardo rimane fiero, penetrante.